Polis Aperta, appello al Ministero: “Lavoriamo insieme per aggiornare i bandi di concorso per la selezione del personale”
In merito alla polemica nata negli ultimi giorni sulla pubblicazione, da parte del Ministero dell’Interno di un bando di concorso per l’assunzione di oltre 1300 agenti di Polizia di Stato, dove “i disturbi dell’identità di genere” sono stati inseriti fra le malattie mentali incompatibili con il servizio degli aspiranti agenti, Polis Aperta, unica associazione italiana di persone Lgbtqi+ appartenentə a forze di polizia e forze armate, lancia un appello alle Istituzioni affinché queste definizioni anacronistiche vengano al più presto modificate. Occorre lavorare insieme, associazionismo e istituzioni, per adeguare la selezione del personale all’evoluzione della società e per abbattere la disinformazione e il pregiudizio sulle persone con identità di genere non allineata al proprio sesso biologico o gender non conforming. Le reclute, gli agenti del futuro, devono essere selezionati tenendo conto dell’evoluzione dei costumi e della nostra società, perché sarà con questa realtà che si dovranno confrontare i neopoliziotti quando opereranno, tutti i giorni, sulle strade italiane. Nel 2010, la Wpath, World Professional Association for Transgender Health, ha pubblicato il “De-psychopathologisation statement” nel quale ha chiarito che le identità di genere vanno ritenute varianze di genere, perciò le probabili espressioni di genere che ne derivano non devono ricevere attribuzioni negative o patologiche. In pratica non essere cisgender è solo la manifestazione dell’identità individuale di ciascuno non condizione patologica.
“La diagnosi di disforia di genere - spiega Alessio Avellino, agente di Polizia di Stato e presidente di Polis Aperta - non si ottiene semplicemente sottoponendosi ad una perizia medica, nessuno specialista potrebbe mai affermare che un soggetto deve intraprendere un percorso di transizione senza l’intenzionalità dichiarata da quest’ultim*: la percezione di sé, del proprio corpo e l’esperienza della mascolinità e della femminilità in termini di espressione di genere sono del tutto soggettive e insindacabili. In che modo questa autodeterminazione si colloca nell'ambito concorsuale? È chiara l’inadeguatezza scientifica dei regolamenti e la criticità di “disturbi dell’identità di genere attuali o pregressi” dal momento che la disforia di genere non è più un disturbo – secondo gli aggiornamenti dei manuali scientifici - e non può essere diagnosticata “coattamente” in nessuno soggetto al momento della verifica dell’idoneità, figurarsi nel “pregresso”. La presunta diagnostica sul passato solleva ulteriori dubbi: pregressi perché risolti o mai diagnosticati? Se ci si riferisce ad una condizione di “risoluzione del disturbo”, la domanda che sorge spontanea è in che modo? Alla luce di tutti i riferimenti scientifici che possediamo oggi, si può ancora alludere ad una “probabile risoluzione” di varianze legate alla propria identità senza rischiare una correlazione con inammissibili cure riparatorie? Se, invece, per pregresso si intende un percorso di transizione già avviato per allineare il proprio corpo alla percezione di sé, quindi nei fatti un livello di benessere psicologico già raggiunto, risulta inconsueta la mia presenza all’interno del Corpo. Di fatto la polizia è stata in grado di riconoscere operatori che hanno dichiarato – come me – di essere molto più del loro sesso biologico e ha lasciato loro la libertà di autodeterminarsi negli ambienti lavorativi, perché non aprirsi alla possibilità di aggiornare i regolamenti che favorirebbero la loro tutela e quella di chi semplicemente aspira ad indossare la divisa col proprio genere d’elezione?!”