POLIS APERTA è fiera di aver sostenuto e contribuito all'inaugurazione della prima casa arcobaleno a Reggio Emilia che accoglierà le persone vittime di odio omo-bi-transfobico e sarà intitolata allo scrittore Pier Vittorio Tondelli.
Aprirà i battenti il prossimo 20 novembre la prima Casa Arcobaleno di Reggio Emilia, una casa rifugio che sarà uno spazio sicuro e protetto creato da Arcigay Gioconda in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia e Acer, dove accogliere le persone Lgbti+ in fuga da situazioni familiari o sociali di rifiuto e talvolta di violenza.
Dopo quasi tre anni di intenso lavoro arriva così a compimento questo progetto ambizioso e necessario per diverse persone gay, lesbiche, bisessuali, trans*. Sono diverse le persone in lista di attesa che attendono da tempo di accedere al servizio e che verranno contattate dall’équipe di volontari che seguirà i casi nel loro percorso di reinserimento sociale. La struttura – che sarà intitolata allo scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli, morto il 16 dicembre 1991 - potrà ospitare fino a quattro persone (due in accoglienza emergenziale e due in accoglienza a medio termine) ed è situata nel quartiere Gardenia, nelle vicinanze della sede di Arcigay Gioconda.
Le persone accolte troveranno non solo una casa che risponda ai bisogni primari immediati, ma anche supporto legale e psicologico e accompagnamento alla rete dei servizi della città, sia pubblici che in collaborazione con enti e istituzioni come la Camera del Lavoro di Reggio Emilia, fin dall’inizio partner di progetto.
La Casa Arcobaleno, completamente gestita su base volontaria dall’Arcigay reggiana, prevede due forme di accoglienza (emergenziale, di due settimane, e a medio termine, di 6-9 mesi) per rispondere sia a richieste immediate che però possono essere gestite con passaggi di accompagnamento e mediazione con la famiglia di origine, sia a esigenze di ricostruzione di una autonomia laddove un rientro non sia possibile.
Per accedere alla casa sarà necessario contattare Arcigay Gioconda; dopo questa prima fase, sono previsti una serie di colloqui per verificare che il servizio sia compatibile con le esigenze presentate. Le persone ospitate firmeranno poi un accordo che delineerà il percorso da seguire e le regole di adesione al servizio.
Per festeggiare l’apertura della Casa Arcobaleno, domenica 20 novembre - giorno del Transgender day of remembrance – è in programma l’iniziativa “Un tè per la Casa Arcobaleno” presso la sede di Arcigay Gioconda, all’interno del Circolo Arci Gardenia, alle ore 17, durante il quale verranno presentate alcune scene tratte dallo spettacolo interattivo “L’Arcobaleno Oppresso” proprio sulle problematiche familiari e sociali che talvolta portano a una fuga e quindi all’esigenza di un rifugio. È possibile partecipare con una donazione di 10 euro: la prenotazione è gradita, tramite i canali social di Arcigay (www.facebook.com/arcigayreggioemilia, ig @arcigaygioconda). Per partecipare è necessaria la tessera Arcigay, che si potrà rinnovare o attivare sul posto. Tutto il ricavato verrà devoluto alla Casa, un progetto che non ha ricevuto alcun finanziamento pubblico.
HANNO DETTO – Il progetto della Casa Arcobaleno è stato presentato questa mattina nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno preso parte il sindaco Luca Vecchi, gli assessori alla Casa Lanfranco De Franco e alle Pari Opportunità Annalisa Rabitti, il presidente di Arcigay Gioconda Alberto Nicolini e il presidente di Acer Reggio Emilia Marco Corradi.
“Oggi arriva a compimento un progetto importante, che l’Amministrazione comunale aveva assunto come impegno con Arcigay Gioconda e che ha visto un lavoro corale da parte di una molteplicità su soggetti - ha detto il sindaco Luca Vecchi - In realtà si tratta di un impegno ancora più ampio, che si assume un’intera città rispetto ai bisogni della comunità Lgbti+ e che rappresenta una ulteriore pagina significativa della storia di Reggio Emilia nella storia dei diritti civili”.
“La Casa Arcobaleno – ha sottolineato l’assessore Lanfranco De Franco – è un progetto che riguarda le politiche abitative oltre che i diritti civili. E’ un servizio mirato, che già abbiamo per altre situazioni critiche, dedicato a tutte le persone che si trovano senza un tetto a causa delle proprie scelte personali legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale. Da oggi queste persone sanno che a Reggio Emilia hanno la possibilità di contare sul supporto della comunità”.
“L’inclusione e la tutela dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, su cui lavoriamo da anni con Arcigay, rappresentano una parte fondante delle politiche dell’Amministrazione comunale - ha detto l’assessora Annalisa Rabitti – Siamo orgogliosi di aver collaborato ad un progetto che punta a fornire una risposta concreta alle persone che fanno coming out o che si trovano in emergenza abitativa, ed è un valore aggiunto il fatto che questa Casa Arcobaleno sia dedicata al nostro Pier Vittorio Tondelli”.
“Il risultato che celebriamo in questi giorni non appartiene solamente ad Arcigay, al Comune e ad Acer, ma anche e soprattutto a più di un centinaio di enti, associazioni e singole persone che si sono unite per permetterci di creare un servizio di comunità basato sul volontariato per il bene di chi non ha una casa o è vittima di violenza solamente perché è Lgbti+ - ha detto il presidente di Arcigay Alberto Nicolini - Personalmente sono grato, posso dire fino alle lacrime, perché potremo rispondere con un servizio concreto alle telefonate che ci chiedono aiuto in emergenza, a tutte le ore, da parte di giovani, donne, persone trans. Non potete immaginare quanto sia difficile dover dire ‘non possiamo aiutarti’ a chi è disperato o ha bisogno di aiuto: voi ci permettete di uscire dall’impotenza e ci impegniamo a fare il più possibile e anche qualcosa di più”.
“La capacità di un territorio di dare risposte al bisogno abitativo – ha detto il presidente Marco Corradi - si misura non solo dalla quantità di alloggi messi a disposizione, ma anche dalla sensibilità nell’interpretazione dei bisogni, oggi sempre più differenziati. Il contributo di Acer Reggio Emilia, in questo caso, non si limita alla sola gestione dell’alloggio, ma metterà a disposizione anche tutte le attività necessarie all’accompagnamento all’abitare per garantire il benessere degli abitanti”.
LE RISORSE PER LA GESTIONE E A SUPPORTO DELLA STRUTTURA - La Casa Arcobaleno di Reggio Emilia è situata all’interno di un appartamento concesso in comodato d’uso da Acer – tra quelli a disposizione dei Comuni per progetti speciali a favore delle categorie fragili - e viene gestita dall’associazione Arcigay in virtù di una manifestazione d’interesse promossa dal Comune di Reggio Emilia: il contratto di concessione ha una durata di tre anni, rinnovabili, fino al 30 settembre 2025.
L’appartamento – della cui individuazione e sistemazione si è occupata Acer – è composto da due camere da letto, un bagno, una sala da pranzo con ingresso e una cucina, balcone e cantina di pertinenza.
Lo spazio è completamente autogestito da Arcigay grazie alle donazioni raccolte nell’ultimo anno sia tramite la campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Ideaginger che da parte di privati, associazioni e circoli Arci, per un importo complessivo di circa 25.000 euro. In contemporanea alla campagna di raccolta fondi, inoltre, l’associazione ha promosso una serie di iniziative ed eventi sul territorio reggiano per raccogliere ulteriori risorse e promuovere la conoscenza del progetto. Tra questi fondi si sono aggiunti quelli di alcuni soggetti istituzionali del territorio, tra cui Cgil Reggio Emilia che – oltre a un contributo economico di 2.000 euro - ha sottoscritto una lettera di intenti sul tema delle discriminazioni sul lavoro e l’orientamento ai diritti. Parte dei fondi sono già stati utilizzati per l’allestimento della struttura, l’assicurazione, l’istallazione di cucina e parte del bagno oltre che all’acquisto del mobilio necessario, mentre i restanti andranno a coprire le spese di gestione e alimentari, nonché il sostegno agli ospiti per le esigenze quotidiane. Si tratta dunque di un progetto estremamente impegnativo ed oneroso per l’associazione, basato integralmente su donazioni; chi volesse contribuire, potrà farlo tramite donazione direttamente dal sito https://arcigayreggioemilia.it/sostienici/ oppure su conto corrente intestato a “Comitato Provinciale Arcigay Gioconda”, Iban IT62T0850912801028010020324, causale Donazione Casa Arcobaleno Pier Vittorio Tondelli. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito web.
UN SIMBOLO PER RICORDARE LE VITTIME DI OMO-BI-TRANSFOBIA – Le diverse camere della Casa Arcobaleno saranno intitolate simbolicamente in ricordo di persone care alla comunità Lgbti* reggiana ma non solo: tra le ricompense previste nell’ambito della raccolta fondi, c’era infatti la possibilità di dedicare una stanza a una persona specifica per mantenerne viva la memoria o di avere un posto nel totem di ringraziamento all’interno della stessa casa.
Una delle stanze sarà dedicata a Bingo, tra i primi iscritti di Arcigay Gioconda e storico fotografo dell’associazione, “una persona taciturna, ma parlava con lo sguardo quando stava con noi, ascoltava rimanendo presente. Si intuiva dai suoi occhi che aveva sofferto nel passato, ma aveva il piacere di stare in compagnia con noi, era diventato il nostro fotografo ufficiale” come lo descrive l’attivista Claudio Borri, che vuole ricordare la figura di un uomo mite che sulla sua pelle aveva scontato il peso di non essere accettato dalla famiglia: “Quindi ci tenevo a dare il nome di questa persona proprio perché una Casa Arcobaleno serve anche per vincere la solitudine”.
Una seconda stanza, con una scelta altamente simbolica fatta dal Gruppo migranti di Arcigay, sarà dedicata a Papa Blessing, un esponente della comunità gay nigeriana, scomparso anni fa. “Ad Abuja in Nigeria c’era un ristorante in cui se eri gay sapevi che potevi andare e trovare consiglio, protezione, amicizia. Era il locale di Papa Blessing, un uomo che era punto di riferimento per tutti noi giovani nella Nigeria omofoba – spiega Tony Andrew, attivista nigeriano e leader del gruppo migranti di Arcigay Reggio Emilia - Papa Blessing è morto improvvisamente circa dieci anni fa ma lo pensiamo spesso, perché chi lo ha conosciuto ha trovato un esempio di vita orgogliosa in quel paese di terrore. Non abbiamo neanche una sua fotografia: dare il suo nome a una delle stanze della casa arcobaleno è un bel modo di ricordare questa brava e coraggiosa persona che tanto ci ha aiutato in Africa”.
Infine una terza stanza sarà dedicata, come scelto dal Circolo Arci Gardenia, a Samba Coly, amico di tutto il circolo, morto ad appena trent’anni nel 2019. Originario del Senegal, era molto conosciuto: già meccanico e tornitore, forte della propria manualità si era messo a svolgere un’attività di creazione di scatole artigianali. “Metteva il bene degli altri al primo posto, c’era sempre nel momento del bisogno. Samba per gli amici era quella persona che ti capiva solo guardandoti negli occhi e senza dire una parola ti abbracciava. Amava fare del bene, senza voler niente in cambio con pura gentilezza e disponibilità”.
PERCHÉ UNA CASA ARCOBALENO – In tutta Italia ci sono meno di 80 posti per aiutare le persone vittime di omofobia e violenza a causa del proprio orientamento sessuale e dell’identità di genere. A Reggio Emilia, nel 2021, son state una ventina le persone che si sono rivolte ad Arcigay perché vittime di discriminazioni per il proprio orientamento sessuale o identità di genere. Molti di questi casi non vengono neppure denunciati: tantissime persone infatti rimangono nell’ombra e senza nessuna rete di protezione, pensiamo agli adolescenti che vengono cacciati di casa perché hanno fatto coming out.
Durante il lockdown, in particolare, gli SOS giunti ad Arcigay sono stati tantissimi: si tratta di persone che nelle proprie abitazioni, in famiglia, sono state vittime di prevaricazioni o intimidazioni per il fatto di essere gay, lesbiche o trans.
In occasione dell’annuale assemblea dei soci che si è tenuta a Reggio Emilia lo scorso 5 novembre 2022, Polis Aperta ha organizzato in collaborazione con Silp Cgil e Arcigay Gioconda, un convegno dal titolo “Discriminatə dentro e fuori le istituzioni. Aprire un dialogo per contrastare insieme i crimini d’odio”.
L’evento, che si svolto all’interno della sala Di Vittorio della camera del Lavoro reggiana, si poneva l’ambizioso obiettivo di aprire un dialogo con le parti sociali. Grazie alla partecipazione di tutte le istituzioni chiamate in causa si sono create nuove sinergie che permetteranno in futuro di mettere in campo azioni concrete, come corsi di formazione mirati agli agenti, per fornire strumenti adeguati al contrasto dei crimini d’odio anche per chi opera su strada.
Tutti gli interventi a partire dal quello di Emanuele Biondi, segretario provinciale di Silp Cgil e dell’assessore alla Sicurezza del Comune di Reggio Emilia, Nicola Tria, sono stati improntati alla massima collaborazione. Il confronto tra lo status quo della lotta alle discriminazioni in Italia e le azioni portate avanti nel resto della Comunità Europea è stato possibile grazie al contributo di Alain Parmentier di Egpa – European lgbt police association. La mattina è poi proseguita con gli interventi della consigliera comunale reggiana Marwa Mahmoud che ha illustrato il piano della città emiliana per combattere i crimini d’odio basati sul pregiudizio razziale. Particolarmente toccanti sono state, infine, le esperienze di vita vissuta riportate da un giovane appartenente al gruppo migranti Lgbtq+, introdotta da Alberto Nicolini, presidente Arcigay di Reggio Emilia sulle difficoltà di ottenere lo status di rifugiato e da Alessio Avellino, presidente di Polis Aperta e di agente di polizia transgender.
Nel pomeriggio l’assemblea ha discusso e approvato il bilancio e gli ordini del giorno dell’associazione. La giornata è stata un’occasione di festa dove sociə, appartenenti a diversi corpi di polizia e dell’esercito, hanno avuto l'occasione di reincontrarsi, di confrontarsi e mettere in campo nuove sinergie per contribuire a rendere l'Italia, una nazione più inclusiva al pari con le democrazie europee. La giornata reggiana di Polis Aperta si è poi conclusa a con la cena sociale a basi dei prodotti tipici del territorio.
Si terrà a Reggio Emilia il prossimo 5 novembre il Convegno dal titolo "Discriminat* dentro e fuori le istituzioni - aprire un dialogo per contrastare insieme i crimini d'odio" organizzato da Polis Aperta, e che vedrà la partecipazione di numerosi relatori, tra cui Alain Parmentier (Presidente di E.G.P.A. associazione europea forze dell'ordine lgbt+), di Marwa Mahmoud (Consigliera Comunale del Comune di Reggio Emilia e Presidente della Commissione consiliare "Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali") di Alessio Avellino (Presidente di Polis Aperta), Tony Andrew (Presidente e Responsabile Migranti di Arcigay Reggio Emilia). Al convegno parteciperanno appartenenti alle varie Forze dell'Ordine con la possibilità di dibattito finale.
Polis Aperta, appello al Ministero: “Lavoriamo insieme per aggiornare i bandi di concorso per la selezione del personale”
In merito alla polemica nata negli ultimi giorni sulla pubblicazione, da parte del Ministero dell’Interno di un bando di concorso per l’assunzione di oltre 1300 agenti di Polizia di Stato, dove “i disturbi dell’identità di genere” sono stati inseriti fra le malattie mentali incompatibili con il servizio degli aspiranti agenti, Polis Aperta, unica associazione italiana di persone Lgbtqi+ appartenentə a forze di polizia e forze armate, lancia un appello alle Istituzioni affinché queste definizioni anacronistiche vengano al più presto modificate. Occorre lavorare insieme, associazionismo e istituzioni, per adeguare la selezione del personale all’evoluzione della società e per abbattere la disinformazione e il pregiudizio sulle persone con identità di genere non allineata al proprio sesso biologico o gender non conforming. Le reclute, gli agenti del futuro, devono essere selezionati tenendo conto dell’evoluzione dei costumi e della nostra società, perché sarà con questa realtà che si dovranno confrontare i neopoliziotti quando opereranno, tutti i giorni, sulle strade italiane. Nel 2010, la Wpath, World Professional Association for Transgender Health, ha pubblicato il “De-psychopathologisation statement” nel quale ha chiarito che le identità di genere vanno ritenute varianze di genere, perciò le probabili espressioni di genere che ne derivano non devono ricevere attribuzioni negative o patologiche. In pratica non essere cisgender è solo la manifestazione dell’identità individuale di ciascuno non condizione patologica.
“La diagnosi di disforia di genere - spiega Alessio Avellino, agente di Polizia di Stato e presidente di Polis Aperta - non si ottiene semplicemente sottoponendosi ad una perizia medica, nessuno specialista potrebbe mai affermare che un soggetto deve intraprendere un percorso di transizione senza l’intenzionalità dichiarata da quest’ultim*: la percezione di sé, del proprio corpo e l’esperienza della mascolinità e della femminilità in termini di espressione di genere sono del tutto soggettive e insindacabili. In che modo questa autodeterminazione si colloca nell'ambito concorsuale? È chiara l’inadeguatezza scientifica dei regolamenti e la criticità di “disturbi dell’identità di genere attuali o pregressi” dal momento che la disforia di genere non è più un disturbo – secondo gli aggiornamenti dei manuali scientifici - e non può essere diagnosticata “coattamente” in nessuno soggetto al momento della verifica dell’idoneità, figurarsi nel “pregresso”. La presunta diagnostica sul passato solleva ulteriori dubbi: pregressi perché risolti o mai diagnosticati? Se ci si riferisce ad una condizione di “risoluzione del disturbo”, la domanda che sorge spontanea è in che modo? Alla luce di tutti i riferimenti scientifici che possediamo oggi, si può ancora alludere ad una “probabile risoluzione” di varianze legate alla propria identità senza rischiare una correlazione con inammissibili cure riparatorie? Se, invece, per pregresso si intende un percorso di transizione già avviato per allineare il proprio corpo alla percezione di sé, quindi nei fatti un livello di benessere psicologico già raggiunto, risulta inconsueta la mia presenza all’interno del Corpo. Di fatto la polizia è stata in grado di riconoscere operatori che hanno dichiarato – come me – di essere molto più del loro sesso biologico e ha lasciato loro la libertà di autodeterminarsi negli ambienti lavorativi, perché non aprirsi alla possibilità di aggiornare i regolamenti che favorirebbero la loro tutela e quella di chi semplicemente aspira ad indossare la divisa col proprio genere d’elezione?!”
(https://www.open.online/2022/07/12/polizia-concorso-disturbi-identita-genere/)
"Il fatto che le conoscenze in quest’ambito siano ancora molto contrastanti tra loro e spesso influenzate da disinformazione e pregiudizio si denota dalla continua evoluzione delle nozioni che conducono alla definizione delle diagnosi per le persone che comunicano un’identità di genere non allineata al proprio sesso biologico o un’identità gender non conforming.
Nel 2010, la WPATH ha pubblicato il “De-psychopathologisation statement” nel quale ha chiarito che le identità di genere vanno ritenute varianze di genere e perciò le probabili espressioni di genere che ne derivano non devono ricevere attribuzioni negative o patologiche - comprese quelle disallineate stereotipicamente al sesso attribuito alla nascita. Sicché, non essere cisgender è solo la manifestazione dell’identità individuale di ciascuno che non deve essere tradotta in una condizione patologica.
Nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) IV-TR del 2001 vi era la definizione di disturbo dell’identità di genere che nella V edizione diviene “disforia di genere”. Perdendo il termine “disturbo” e acquisendo quello di “disforia”, il focus si sposta sul disagio soggettivo provato dalla persona e non su un disturbo generico dell’identità che lascia poco spazio all’ empatia e molto alla preoccupazione. Questa nuova terminologia di diagnosi viene collocata non più nel capitolo delle parafilie e dei disturbi sessuali: potrebbe apparire una sfumatura, in realtà, segna la trasformazione della diagnosi e del suo campo d’interesse: da esclusivamente comportamentale, sessuale e disturbato, ad uno più vasto che riguarda l’identità e personalità del soggetto tutto; altro punto che potrebbe non risaltare ad un occhio non critico è il passaggio dalla parola “sesso”, che dominava l’edizione precedente, alla parola “genere” che anche in questo caso segnala uno slittamento del focus su aspetti che non riferiscono al mero piano comportamentale. Il cambiamento da considerare forse il più importante in termini di comunicazione è stato l’eliminare dai criteri diagnostici quello dell’orientamento sessuale. Si tratta di una vera svolta, in quanto segnala l’aver preso atto che l’orientamento sessuale non costituisce un “campanello d’allarme”: diversamente dalle vecchie edizioni affette da un pregiudizio etero-normativo, in cui si riteneva l’orientamento eterosessuale un segnale di predizione per chi si sottoponeva al cambiamento chirurgico del sesso, in altri termini, un soggetto omosessuale - se si fa erroneamente riferimento al suo sesso biologico - era favorito nel percorso di transizione perché avrebbe acquisito di lì a poco lo status di “eterosessuale” e avrebbe protratto nel tempo un’immagine binaria e quindi di “risanamento” della natura che vede come “right way” il binomio di coppia maschile-femminile. Diversamente, un orientamento omosessuale, non era ben visto nei soggetti che desideravano effettuare una terapia ormonale sostitutiva perché avrebbero perseguito un ideale non binario e fuori dagli schemi etero-normativi.
Lo stesso è avvenuto con la pubblicazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del ICD-11 (International Classification of Diseases) che ha trasformato la diagnosi di disturbo dell’identità di genere (DIG) in “incongruenza di genere” spostandola dal capitolo dedicato ai disturbi mentali e comportamentali al capitolo rivolto alla salute sessuale e ha mantenuto insieme alla diagnosi per gli adulti, quella per gli adolescenti e quella per i bambini prepuberi.
Da persona trans, ho esperienza diretta dell’iter psicologico da affrontare per ottenere la relazione che attesti l’idoneità all’accesso alla terapia ormonale sostitutiva secondo la legge 164/1982.
Una sostituto commissario che ha conosciuto profondamente la mia esperienza lavorativa correlata al mio percorso di affermazione di genere, un giorno mi disse: che assurdità però, sei stato sicuramente più “controllato” te psicologicamente che chiunque altro non trans, in che modo potresti mettere in pericolo l’altro con una consapevolezza di te così determinata? Mi fece sorridere e poi, per qualche giorno, riflettere.
In che modo in fase concorsuale la commissione potrebbe essere in grado di rilevare “segnali di disforia” responsabili di un non ottimale servizio? In che modo la disforia di genere e non più “il disturbo dell’identità” potrebbe influire nello svolgimento del lavoro di polizia? E’ pretenzioso affermare che la TOS (terapia ormonale sostitutiva) sia invalidante per un poliziotto, dal momento che “rilevare disforia” non significa rilevare una terapia ormonale in atto: vi sono persone transgender che non richiedono la terapia e la medicalizzazione. Non da meno, affermare che una terapia ormonale precluda – in sede concorsuale - ad un ragazzo o ad una ragazza la carriera all’interno delle forze dell’ordine, renderebbe immotivata la mia (p)e(r)sistenza (e quella di altr*) all’interno dell’Amministrazione.
La diagnosi di disforia di genere non si ottiene semplicemente sottoponendosi ad una perizia medica, nessuno specialista potrebbe mai investirsi del potere di affermare che un soggetto deve intraprendere un percorso di transizione senza l’intenzionalità pregressa di quest’ultimo dal momento che la percezione di sé, del proprio corpo e l’esperienza della mascolinità e della femminilità in termini di espressione di genere è del tutto soggettiva e insindacabile. Il percorso di affermazione di genere è (o almeno, dovrebbe essere) completamente autodeterminato e deve assurgere da accompagnamento alle consapevolezze che l’individuo ha acquisito di sé nel corso della vita esperita. Nessun esperto nell’ambito potrebbe affermare che “sei trans, prendine coscienza”. L’istanza è soggettiva, personale, individuale, è un impulso interno di emersione ed emergenza d’ autenticità.
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze trans (e non parlo di bambini ed adulti perché è chiaro a tutti, da bando, l’età come requisito di accesso) che iniziano un percorso psicologico per ottenere la relazione psicologica che attesti disforia di genere, vorrebbe ottenere risposte dall* specialista sedut* di fronte a loro, per deresponsabilizzarsi, per ottenere conferme e riconoscimento. Solitamente ci si sente rispondere: puoi saperlo soltanto tu. Io sono qui per aiutarti ma la verità di ciò che senti tu è incontrovertibile.
Illustrato ciò, è chiara l’inadeguatezza dei regolamenti – scientificamente parlando – e profondamente critico diviene il passaggio “disturbi dell’identità di genere attuali o pregressi” dal momento che la disforia di genere non è più un disturbo – secondo gli aggiornamenti delle pubblicazioni sopramenzionate - e non può essere diagnosticata “coattamente” in nessuno soggetto nell’imminente immanenza, figurarsi nel “pregresso” che lascia libera interpretazione dello specifico significato: pregressi perché risolti o mai diagnosticati? E se ci si riferisce ad una condizione di “risoluzione del disturbo”, la domanda che sorge spontanea è in che modo? Alla luce di tutti i riferimenti scientifici che possediamo oggi, si può ancora alludere ad una “probabile risoluzione” di varianze legate alla propria identità senza rischiare una correlazione con le inammissibili cure riparatorie?
Se la Polizia è stata in grado di riconoscere fattivamente appartenenti che hanno dichiarato – come me – di essere molto più del loro sesso biologico e ha lasciato loro la libertà di autodeterminarsi negli ambienti lavorativi, perché non aprirsi alla possibilità di aggiornare i regolamenti in merito che favorirebbero la loro tutela e quella di chi semplicemente aspira candidamente ad indossare la divisa col proprio genere d’elezione?!"
Alessio Avellino, Presidente di Polis Aperta
Sono iscritto a Polis Aperta dal 2019. Non sono un appartenente alle FF.OO. e né alle FF.AA.: sono un docente universitario, un pedagogista, un formatore e a tempo perso anche uno scrittore. Durante la scrittura del mio saggio “Questo odio non ti somiglia. Omosessualità in divisa” (Rogas, 2019) ho incontrato molti soci di Polis Aperta ed è stato amore a prima vista. Non fraintendetemi… ho visto uomini e donne che fanno il loro lavoro con dedizione e competenza ogni giorno e che hanno giurato fedeltà alla Costituzione. E appartengono alla variegata comunità LGBTI+. La conferenza ateniese rappresentava un’interessante occasione per vedere de visu i rappresentanti delle 20 associazioni europee delle FF OO LGBTI+ e condividere con loro riflessioni, pensieri e idee.
Ovviamente non ero da solo: Polis Aperta era rappresentata da Roberto (attuale Vice Presidente), Stefano e Mattia, quest’ultimo anch’egli non appartenente a nessun corpo di polizia.
La conferenza EGPA (European LGBT Police Association) avrebbe dovuto tenersi a Tessalonica nel 2020 ma il diffondersi della pandemia SARS CoV-2 ha obbligato, l’associazione greca Police Action, ad annullarla e a ricalendarizzarla.
Prima di addentrarmi nel racconto di questa due giorni di lavori congressuali mi corre l’obbligo di descrivere per sommi capi il contesto e il clima che si respirava nella società greca, e in quella ateniese in particolare.
Il Premier conservatore (Nuova Democrazia) Kyriakos Mitsotakis si presenta come un europeista moderno, ma molti osservatori segnalano che il governo sta creando le condizioni che mirano a controllare i media e la giustizia. Il World Press Freedom Index, pubblicato all'inizio di marzo 2022, colloca la Grecia all'ultimo posto nell'UE per la libertà di stampa.
La forma di governo è quella parlamentare e il sistema rappresentativo è fondato su un parlamento monocamerale: compete all’assemblea eleggere il Presidente della Repubblica e, ancora, sorreggere – attraverso la maggioranza parlamentare – il governo nominato dal Presidente stesso.
Per quanto riguarda il clima che si respirava ad Atene durante i lavori congressuali è necessario descrivere brevemente alcuni fatti accaduti nel 2018 che hanno avuto dure ripercussioni nella fase preparatoria del Pride che avrebbe dovuto prevedere la presenza dei rappresentanti di EGPA in divisa.
Il 21 settembre 2018 Zak Kostopoulos, attivista queer e difensore dei diritti umani è morto a seguito di una violenta aggressione. Zak, conosciuto anche con il nome di Zackie Oh, è stato un instancabile difensore dei diritti delle persone LGBTI+ e delle persone sieropositive. Le riprese video di testimoni oculari mostrano che Zak è stato brutalmente picchiato da due uomini dopo essere entrato in una gioielleria nel centro di Atene. Il filmato mostra anche come la polizia, arrivata sul posto, cerca violentemente di arrestare Zak mentre era a terra moribondo.
Il video mostra un ufficiale che spinge con forza una gamba sul suo collo e un altro che lo colpisce con la stessa forza. Secondo il rapporto forense Zak è morto per le ferite multiple che ha subito. Le mobilitazioni per chiedere giustizia per la sua morte hanno avuto luogo in molti paesi europei. Sebbene sia stata effettuata un’indagine da parte della polizia, molti osservatori e difensori dei diritti umani sono preoccupati per gli errori e i ritardi nelle ricerche nonché per le persistenti carenze sistemiche nelle indagini riguardanti i casi di violenza della polizia in Grecia. L’uccisione di Zak, la segnalazione iniziale del caso piena di commenti stigmatizzanti e la riproduzione di notizie false, hanno rivelato il profondo pregiudizio che esiste in alcune settori della società. Nel mese di maggio 2022 i due uomini che perpetrarono la violenta e mortale aggressione sono stati condannati a dieci anni di reclusione mentre i quattro agenti sono stati scagionati. La decisione di assolvere i poliziotti è stata considerata dalle ONG e dalla famiglia della vittima come “profondamente ingiusta”. Gli stessi si sono dichiarati delusi e contrari alla liberazione dei quattro agenti nonostante i video che documentano la loro partecipazione al crimine. La decisione del tribunale, secondo alcune ONG, rappresenta l'ennesimo esempio di come in Grecia le vittime dell'uso non necessario della forza siano lasciate senza giustizia.
Queste brevi note, spero, possano fornire al lettore informazioni utili per ulteriori approfondimenti.
Costruire ponti
Con questo tema si è tenuta presso gli spazi di Technopolis del comune di Atene in Grecia, giovedì 16 e venerdì 17 giugno 2022, la Conferenza delle Associazioni di Polizia LGBT+ d’Europa organizzata da EGPA. (European LGBTI Police Association). È un’organizzazione ombrello che ha l’obiettivo di connettersi con tutte le organizzazioni LGBTI+ nazionali e internazionali. La Conferenza ateniese è stata patrocinata dal Consiglio d’Europa, dal Parlamento Europeo, da molte organizzazione culturali greche e dal Comune di Atene. Quest’ultimo, alla presenza del sindaco, ha ricevuto tutti i delegati che si sono presentati in divisa al cocktail party sul roof top del Comune.
Durante i due giorni di lavori congressuali, alla presenza e con il contributo di numerose autorità greche politiche, militari e sociali, oltre che a funzionari della Comunità Europea e del Consiglio d’Europa, i rappresentanti dei vari Corpi di Polizia provenienti da circa 20 paesi europei si sono confrontati su moltissimi temi tra i quali la violenza, il principio di non discriminazione, i rapporti con la comunità LGBTI+, la formazione, ecc.
L’evento ateniese ha avuto una significativa copertura mediatica e i relatori erano di alto profilo professionale (giuridico, sociologico, ecc.). Ho trovato molto interessante il contributo video di FLAG (l’associazione francese, che insieme agli spagnoli – compresi i catalani e i baschi - erano quelli maggiormente rappresentati) che ha presentato la loro storia lunga oltre vent’anni. Molto interessante è stato anche il contributo delle poliziotte britanniche che hanno raccontato come si sta evolvendo il loro approccio alle denunce di omofobia e di come si stia avviando un processo interno di formazione e di sensibilizzazione relativamente alle tematiche LGBTI+.
Tutti i relatori greci hanno menzionato le difficoltà dell’attuale società greca sui temi dell’inclusione e della non discriminazione, complimentandosi con Action Police - e con il suo instancabile presidente Michael Lolis – per il desiderio di voler contribuire a promuovere all’interno del corpo di polizia una cultura, un approccio e pratiche più rispettose delle differenze e dell’uguaglianza di tutti/e davanti alla legge.
Mentre i lavori congressuali erano in corso, il clima all’esterno della città di Atene e tra gli organizzatori del Pride (sabato 18 giugno) diventava sempre più complesso e articolato. La sentenza di assoluzione dei 4 poliziotti per la morte di Zak aveva interrotto la possibilità di costruire ponti ma mi auguro che il dialogo possa essere ripreso nei prossimi mesi. La decisione inappellabile, nonostante le mediazioni e gli incontri chiarificatori, è stata quella di escludere tutti/i i/le rappresentanti di EGPA di sfilare in divisa durante la parata del Pride.
Devo confessare, però, che tutti i relatori greci hanno sottolineato il tragico errore di escludere i membri delle associazioni LGBTI+ di polizia europea che hanno comunque partecipato alla parata non in divisa e in posizione un po' defilata. Cito l’intervento di Anna Kouroupou, Manager of Red Umbrella Athens, che in quanto persona trans sapeva bene cosa significava la violenza della polizia, la discriminazione, l’abuso di potere e le malversazioni ma nonostante questo ha dichiarato che la sola esistenza di Police Action faceva la differenza e che bisognava abbassare i toni e riannodare i fili del dialogo. Il suo è stato un intervento così empatico e di grande levatura civile che durante il coffee break Stefano ed io le abbiamo chiesto di poter avere una foto con lei (per chi non lo sapesse, Vladimir Luxuria ha detto più o meno le stesse cose a proposito dell’esclusione di Polis Aperta dalla parata di Bologna sabato 25 giugno scorso).
Nikos Dedes, founder e chair di Positive Voices, ha raccontato di come durante la pandemia di SARS- CoV-2, quando in quasi tutto il mondo vigevano restrizioni draconiane sulla libertà di movimento per limitare la diffusine del virus, la polizia di Atene ha avuto uno sguardo solidale e attento alla loro necessità di far visita alle persone sieropositive ristrette nelle loro abitazioni. Anche Nikos si è dichiarato contrario al diniego alla partecipazione al Pride ateniese da parte degli attivisti di EGPA in divisa (tutti i delegati hanno partecipato all’evento sfilando con le proprie T-Shirt dove campeggiava la scritta della propria associazione e il prorpio striscione).
Ho avuto la sensazione che lo sforzo di Police Action sia stato genuinamente apprezzato da tutti i relatori i quali hanno sottolineato che bisogna continuare a promuovere gli itinerari formativi e di sensibilizzazione sia all’interno delle forze di polizia, che nella società civile che all’interno della variegata comunità LGBTI+.
Il tema della formazione è stato sottolineato anche da Kostas Arvantis membro del Parlamento Europeo, dalla rappresentante dell’Accademia della Polizia Europea e da Thorsten Afflerbach responsabile del Programma di Inclusione e Anti-Discriminazione del Parlamento Europeo e da Elisabeth Zinschitz membro dell’Agenzia dell'Unione Europea per la formazione delle forze dell’ordine - CEPOL. Quest’ultima, inoltre, parla un ottimo italiano ed è innamorata del Rinascimento italiano. Il suo intervento è stato preciso e dettagliato a proposito dei processi formativi, culturali e sociali e che bisogna continuare disseminare informazioni corrette e precise e che non bisogna stancarsi di cercare il dialogo e di incontrare le persone de visu consapevoli, tutti e tutte, che i cambiamenti culturali richiedono decenni.
La Grecia, come molti relatori hanno sostenuto, sta attraversando una fase storica complessa e articolata e la presenza di EGPA ha contribuito ad offrire un altro punto di vista su importanti temi sociali che vedono impegnata l’Europa e i paesi oltreoceano. I fatti di Bologna (l’esclusione di Polis Aperta dal Pride) e gli ultimi fatti di Londra (dove i militanti LGBTI+ delle forze dell’ordine sono stati esclusi dal coloratissimo Pride) richiedono soprattutto a EGPA di riannodare i fili di un dialogo interrotto e forse ancorato ad un dibattito che è continuamente superato dalle veloci trasformazioni sociali di cui tutti/e siamo partecipi. Una società più giusta e solidale si costruisce con ponti che vanno ancorati al terreno e che necessitano di una continua manutenzione per far sì che questi ponti possano essere attraversati in sicurezza da tutti/i i/le cittadini/e.
Essere poliziotti/e ed essere persone LGBTI+ non deve più appresentare un ostacolo: il principio di non discriminazione vale per tutti/e ed è tutelato da molte legge nazionali e dal diritto dei diritti umani.
Il mio auspicio è che si aprano sempre nuove opportunità di confronto.
A conclusione di questo articolo cito la scrittrice Jami Attemberg “…per così tanto tempo ho creduto di non essere adeguata, ma ora capisco che non esiste nulla a cui doversi adeguare, c’è solo quello che decido di fare. C’è ancora tempo, penso. Ho ancora un sacco di tempo” (Da Grande, Giuntina Ed., 2018)
Prof. Carlo Scovino
Professore a contratto per l’Università degli Studi di Milano, Formatore, Pedagogista,
Consulente per progetti riabilitativi e terapeutici
Solo un dialogo aperto e costruttivo può garantire il progresso della società e la tutela dei diritti civili, in questo percorso Polis Aperta, associazione LGBTQI+ di lavoratorə di Forze di Polizia e Forze Armate, crede fermamente. Questa è l’unica direzione possibile verso un futuro che sia di tuttə.
In questi giorni dove la comunità LGBTQI+ celebra la ricchezza della diversità e la libertà di essere se stessi sempre e ovunque, due notizie di cronaca hanno gettato ombre oscure sul futuro dei diritti civili. L’inquietante sentenza della Corte suprema statunitense in merito all’aborto e il drammatico attentato di Oslo, hanno messo sotto scacco conquiste, ormai date come assodate. Due vicende geograficamente lontane che, tuttavia, hanno in comune la stessa matrice machista e patriarcale dove la fanno da padrone controllo dei corpi, soprattutto femminili, e il rifiuto delle molteplici identità che compongono il tessuto sociale.
Occorre dunque aprire un dialogo, fare fronte comune contro questa ondata d’intolleranza, per difendere ed estendere le conquiste democratiche.
L’esperienza di Bologna, l’abbraccio collettivo che abbiamo ricevuto durante il Pride, ci ha incoraggiato e ha portato anche al nostro interno una riflessione sull’importanza dell’apertura verso il mondo: divisi siamo minoranze, assieme siamo la società civile.
Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ di lavoratori di forze di polizia e forze armate esprime il proprio rammarico per le parole utilizzate dagli organizzatori del “Rivolta Pride” di Bologna che hanno voluto escludere l’associazione e i propri associati dalla sfilata di sabato 25 giugno. Ci è stato chiesto di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo. Non è la prima volta che una tale discriminazione viene in atto: al pride di Bologna 2020 la stessa sorte toccò dall'Associazione Plus - Persone LGBT+ Sieropositive.
Attraverso i social sono state scritte parole pesanti come pietre, che ancora prima di colpire l’associazione in sè, feriscono le persone che ne fanno parte. Persone, che pur avendo scelto un lavoro, dove non sempre la comunità Lgbtqi+ è stata accolta a braccia aperte, hanno deciso di metterci la faccia. Di uscire allo scoperto, sfidando ogni convenzione per abbattere diffidenza e pregiudizi. Fin dalla nascita, l’associazione si è impegnata per il riconoscimento dei diritti civili, dalla legge Cirinnà al ddl Zan, per il riconoscimento degli alias alle persone in transizione e dell’omogenitorialità. Perché siamo consapevoli che solo tutelando le moltepilci identità individuali della società si garantisce la difesa di quella democrazia che abbiamo deciso di rappresentare indossando una divisa.
Pride è l’orgoglio di aspirare a una società dove tuttə sono ugualə davanti alla legge. Le polemiche sterili non ci interessano, impieghiamo il nostro tempo per costruire ponti, non muri. Le pratiche escludenti non ci appartengono, così come non ci appartiene il dileggio, la discriminazione, il pregiudizio che trasuda da certi toni.
Questo odio non ci appartiene.
Di seguito l'elenco delle città con le date dei prossimi Pride:
"Linguaggi inclusivi e contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere"
Dopo l'invito del Ministro dell'Istruzione rivolto a tutti i docenti e alle scuole di ogni grado, nell’ambito della propria autonomia didattica ed organizzativa - in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia che si tiene ogni anno il 17 maggio - per creare occasioni di approfondimento con i propri studenti sui temi legati alle discriminazioni, al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nell’ambito dei principi nazionali e internazionali, l'Università "Sapienza" di Roma, dopo aver conquistato la vetta nella classifica internazionale del Center for World University Rankings nello scorso mese di aprile, ha deciso di ospitare un momento di discussione e confronto sul contrasto delle discriminazioni e della violenza rivolte all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
L'incontro verterà sul corretto uso del linguaggio affinché ciò non diventi strumento di esclusione, discriminazione, ostilità, perché le parole costituiscono la realtà, e quando il discorso promuove l’odio finisce per produrlo.
All'incontro prenderanno parte la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, la delegata della Rettrice per le Pari Opportunità e presidente del Comitato unico Giuliana Scognamiglio, il Coordinatore del Comitato tecnico scientifico sulla diversità e l’inclusione Fabio Lucidi. A coordinare l’incontro Vittorio Lingiardi, del Dipartimento di Psicologia dinamica, clinica e salute e Senior Research Fellow della Scuola superiore di studi avanzati Sapienza. All’incontro interverranno Luigi Manconi, Marilena Grassadonia, Viola Lo Moro, Simone Alliva, Monica Cristina Storini, Annammaria Speranza, Cristina Prenestina ed Elliott Perticone.