Il 23 settembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Orgoglio Bisessuale e questa data è stata scelta dall’International Lesbian and Gay Association. La creazione del “Bisexual Forum” a New York nel 1975 segnò un momento di aggregazione cruciale, un primo spazio in cui le persone bisessuali poterono confrontarsi e articolare una narrativa propria. Tuttavia, questa emergenza identitaria si scontrava con una resistenza tanto esterna quanto interna: se da un lato la società eteronormativa continuava a considerare la bisessualità con sospetto o disprezzo, dall’altro anche dentro il movimento Lgbtqia+ non mancarono voci critiche, che la percepivano come ambigua o, peggio, come una forma di codardia politica, lontana dall’assoluta presa di posizione rappresentata dall’omosessualità. Atteggiamento che purtroppo, persiste ancora oggi. Durante la Conferenza sulla Bisessualità di San Francisco del 1990, venne coniato il termine bifobia, un concetto destinato a cristallizzare le dinamiche di marginalizzazione specifiche a cui erano sottoposte le persone bisessuali, spesso in bilico tra due mondi che le negano o le consideravano come una minaccia all’ordine binario. Questa nuova consapevolezza diede avvio a un percorso di autoaffermazione che portò, nel 1999, alla nascita del Celebrate Bisexuality Day, ricorrenza annuale fissata al 23 settembre, giorno in cui si sarebbe cominciato a rendere omaggio alle persone bisessuali, alla loro storia e al loro contributo nella lotta per i diritti civili. La bandiera bisessuale risale invece al 1998 ed è stata realizzata da Michael Page. La bandiera è composta da tre righe di differenti colori: in alto il rosa, in basso il blu, al centro il viola, creato dall’unione degli altri due colori. Per Page il rosa simboleggia l’orientamento omosessuale, il blu rappresenta l’orientamento eterosessuale e il viola, infine, è la fusione tra rosa e viola e dunque tra i due orientamenti sessuali. La bisessualità è stata osservata nel corso di tutta la storia umana e nel susseguirsi delle varie civiltà, assumendo valenze e significati differenti in base alle specifiche culture e alle epoche storiche. Nella cultura greca antica le relazioni sessuali non erano incasellate in rapporti monogami o strettamente eterosessuali. Gli uomini potevano aver contratto matrimonio con una donna e allo stesso tempo avere relazioni extraconiugali con altre donne così come con uomini. Anche nella cultura romana le relazioni sessuali non erano codificate solo come etrerosessuali o omosesessuali, era solo una questione di potere ovvero, un uomo libero era sicuramene sposato, dato che il valore della famiglia era sacro, ma poteva avere rapporti sessuali o intrattenere relazioni sia con uomini o con donne a patto che questi fossero schiavi o prostitute. Era socialmente inaccettabile e punito chi avesse rapporti sessuali con un altro uomo libero. In questo caso la bisessualità era sì accettata ma solo se si assumeva un ruolo “attivo” e questo era visto come una manifestazione di potere. Il primo a parlare di un continuum, o di fluidità, in ambito sessuale fu Alfred Kinsey, biologo e sessuologo statunitense, che condusse innumerevoli studi volti ad indagare il comportamento sessuale umano, pubblicati tra il 1948 ed il 1953 in due volumi denominati popolarmente Rapporti Kinsey. Vivere il proprio orientamento sessuale in modo libero e consapevole è una possibilità che purtroppo non può ancora essere data per scontata. Esistono infatti varie forme di discriminazione ai danni di individui bisessuali, compresa la negazione stessa dell’esistenza della bisessualità. Oggi il concetto di bisessualità si colloca al centro di riflessioni più ampie sulle dinamiche di potere, visibilità e riconoscimento, rendendola una parte vitale del discorso contemporaneo sulla sessualità e sull’identità: stiamo parlando di un orientamento sessuale caratterizzato dall’attrazione, sia romantica che sessuale, verso più di un genere ma non tutti – quest’ultima è la differenza cardine con la pansessualità. A differenza delle definizioni più rigide che si sono sviluppate nel corso del tempo, la bisessualità non implica necessariamente un’attrazione uguale verso i generi, ma piuttosto una flessibilità nell’esperienza affettiva e sessuale. Dove esiste un orientamento sessuale non conforme, purtroppo, esiste però anche la tendenza a stigmatizzare. In questo caso, parliamo di bifobia, insidiosa forma di discriminazione frutto di stereotipi e pregiudizi tanto radicati quanto sottili. La bifobia opera in modo più ambiguo rispetto ad altre attitudini simili, cercando di erodere la legittimità stessa. Si manifesta spesso con l’incredulità, la svalutazione o, ancor peggio, con l’invisibilizzazione, come se l’attrazione per più generi non fosse altro che un errore di percorso o una fase di passaggio tra l’eterosessualità e l’omosessualità. Sostenuta da un substrato di sospetti e accuse implicite, la bifobia vede le persone bisessuali come ambigu*, indécis*, addirittura incapaci di vera fedeltà emotiva o sessuale. L’attrazione viene ridotta a una sorta di pulsione primordiale, a un’incapacità di contenere desideri multipli, quasi fossero per natura inclini alla promiscuità. Questa visione tanto radicata quanto perversa presuppone che la bisessualità sia sinonimo di disordine e di una frattura nell’ordinata binarietà dei desideri. Contrastare la bifobia, in questo senso, significa decostruire le sovrastrutture concettuali che riducono il desiderio a rigide categorie. Significa restituire visibilità e dignità a una parte della comunità Lgbtqia che troppo spesso è stata lasciata ai margini, fraintesa o, peggio, ridotta a un’invenzione temporanea, per cogliere la meravigliosa essenza di una sessualità che non ha bisogno di conformarsi per esistere.
Carlo Scovino e Marcello Libriani