IL VIGILE "Essere gay in divisa non è facile"
Gabriele Guglielmo, 33 anni, è un agente della polizia locale di Torino. "Sono figlio di un poliziotto siciliano. Mio padre - racconta - ha avuto più difficoltà ad accettare che non entrassi nella Polizia di Stato piuttosto che la mia omosessualità. Mi dice: l'importante è che tu sia contento". Ieri Gabriele era con colleghi e poliziotti dietro allo striscione di "Polis Aperta", associazione che riunisce le "minoranze in divisa", LGBT ma anche etniche e religiose. "Vivevo a Roma, ho lavorato in piccoli Comuni. Ma finché sono stato là non ho potuto fare coming out. Là c'è molta più omofobia nelle caserme". Recentemente ha rappresentato in divisa, autorizzato dai suoi superiori, la Polizia Locale torinese alla conferenza delle polizie omosessuali europee a Berlino. Dell'associazione, spiega che "lavora sulla formazione dei colleghi, dai vertici in giù, cerchiamo di inserire lezioni anti discriminazione nelle accademie del vari corpi, collaboriamo con le associazioni LGBT locali per cambiare la percezione che i cittadini LGBT hanno della Polizia, tanto che spesso hanno paura di fare denuncia. In alcune città è più facile... Però, pur avendo molti iscritti tra i Carabinieri, non ce n'è ancora uno che si sia dichiarato". Ma le cose si muovono. "I colleghi ci scrivono mail, ci avvicinano per sfogarsi. Non è facile vivere questa dualità: indossare la divisa, simbolo di macchiamo, e amare una persona dello stesso sesso. E' ancora un grave crimine. Anche a Torinoci sono resistenze, battute. Ma il nostro comandante è molto aperto e andiamo avanti [M.T.M.]