L’associazione Polis Aperta ritiene che le frasi transfobiche pronunciate dal consigliere comunale Samuele Piscina non solo siano vergognose per il contenuto di odio e pregiudizio che veicolano nei confronti di una categoria già esposta a fragilità, ma inaccettabili da chi, utilizza una sede istituzionale non per rappresentare i cittadini, ma per cercare di istituzionalizzare la violenza. Una violenza nelle parole e nei contenuti perpetrata strumentalizzando e decontestualizzando operazioni di polizia di quasi un decennio or sono. Chi lavora vestendo una divisa ha giurato sulla Costituzione italiana di difendere le regole della convivenza democratica e la popolazione “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” come ricorda l’Articolo 3 della nostra Costituzione. E’ dunque indubbio che sia oltremodo vergognoso “tirare per la giacchetta” gli operatori di un corpo sperando di nascondere un’evidente e intollerabile personale transofobia dietro al dito di un presunto pericolo sociale. La nostra democrazia da sempre promuove la pluralità dei soggetti all’interno del tessuto sociale, se chi rappresenta le istituzioni non è in grado di svolgere questo importante compito, si dimetta. E si dimetta subito.
Si è concluso la scorsa settimana il corso di formazione su temi Lgbtqia+ dedicato al personale in divisa e operatori dello Sportello anti-discriminazione di Bologna. Il corso di 18 ore suddiviso in tre giornate ha visto la partecipazione di 53 corsisti, di cui 48 della polizia locale, 3 operatori della polizia di stato (un commissario della squadra mobile e 2 ispettrici dell’Ufficio denunce della Questura), due luogotenenti del Comando dei Carabinieri di Bologna e 3 operatrici dello Sportello anti-discriminazione di Bologna.
La formazione curata da Polis Aperta in collaborazione con il Comune di Bologna e in partnership con Famiglie Arcobaleno Emilia Romagna e Gaylex, rientra tra le azioni del Patto generale di collaborazione per la promozione e la tutela dei diritti e delle persone e della comunità Lgbtqia+ nella città di Bologna 2022-2026, ed è stata pensata per rispondere alle necessità di disporre all’interno dei diversi posti di polizia di personale qualificato e professionale per l'accoglienza delle vittime della comunità Lgbtqia+. Al corso ha preso parte, portando la loro esperienza, anche il mondo dell’associazionismo Lgbtqia+ bolognese, in particolare: Linea Lesbica Antiviolenza, Sportello Antiviolenza Spazio Cassero, Mit - Movimento Identità Trans e Gruppo Trans Bologna. Formare gli operatori in divisa è un’esigenza sentita sia per tutelare le persone, soprattutto nei momenti difficili in cui si trovano a dover sporgere denunce mettendo a nudo aspetti intimi della vita privata, sia per accrescere il livello di sensibilità degli operatori sul territorio in modo da poter cogliere segnali di eventuali crimini d’odio e prevenirli nelle loro più spregevoli conseguenze. Il corso, è stato pensato in continuità col progetto Super per il contrasto ai crimini d’odio basati su razza ed etnia, per formare forze di polizia in grado di contrastare di tutti i reati nati da pregiudizi e intenti discriminatori.
HANNO DETTO - “L’obiettivo dell’azione formativa – ha sottolineato Alessio Avellino, presidente di Polis Aperta – era coinvolgere gli agenti per predisporre un’azione di reale contrasto all’omo-lesbo-bi-trans-negatività sul territorio dove gli agenti svolgono il loro servizio quotidiano. Il nostro ruolo di tutela del cittadino e della vittima vulnerabile di un crimine deve diventare una risorsa per la comunità lgbtqia+. Dobbiamo poter offrire un posto sicuro per tuttə”.
“ Questo percorso formativo, parte delle politiche dell'Amministrazione per il contrasto e la prevenzione della violenza omolesbobitransfobica, credo sia un esempio di una buona pratica – ha dichiarato Emily Marion Clancy vicesindaca di Bologna - Sono particolarmente contenta per la partecipazione, la qualità dei contenuti e le collaborazioni ampie che hanno caratterizzato il percorso. Voglio fare un ringraziamento speciale a tutte le agenti e tutti gli agenti che hanno deciso di far parte dell'unità speciale tutela delle persone vulnerabili, un servizio che avvicinerà ancora di più l'istituzione alle cittadine e cittadini.
Così come alle tante associazioni lgbtqia+ e del terzo settore che hanno preso parte a questo percorso. Polis Aperta ha infatti aperto la formazione alla partecipazione di molte altre associazioni con le quali condivide la sottoscrizione del Patto Generale di Collaborazione per la promozione e la tutela delle persone e della comunità lgbtqia+, un patto che vuole favorire lo scambio e la condivisione tra l'Amministrazione e le associazioni e tra le diverse associazioni tra loro, perché su questi temi ci si muova come comunità”.
Chi per mestiere indossa una divisa, dell’esercito italiano o di corpi di polizia, ha giurato di difendere la Costituzione e i valori fondati della democrazia italiana in essa contenuti. Valori che parlano di uguaglianza tra cittadini, di rispetto per le minoranze e di parità di genere, chiunque vada contro i principi fondamentali della nostra Costituzione diffondendo l’odio, come se fosse un opinione come le altre, è indegno di portare una divisa e deve dimettersi.
Gli sproloqui contenuti nella pubblicazione autoprodotta del generale Roberto Vannacci non sono opinioni. E’ odio allo stato puro, insulti infarciti disprezzo per chiunque si discosti da una cultura eteropatriacale dove il dominio sul più debole e la prevaricazione la fanno da padrone. Ebbene queste “idee” non sono compatibili con il servizio alla democrazia e non sono compatibili con la responsabilità di gestione del personale che fa capo a un generale dell’esercito. Non sono idee, sono solo odio per il prossimo. Per tal motivo, pur apprezzando la presa di distanza dell’Esercito e le dichiarazioni del Ministro Crosetto, Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ appartenenti alle forze armate e forze di polizia, chiede direttamente al generale Roberto Vannacci, che rivendica con tanta forza i proprio scritti, di dimettersi immediatamente per manifesta incompatibilità con il servizio al Paese.
Una brutta pagina della democrazia italiana quella scritta in questi giorni dalla Camera dei Deputati. Una pagina dove per la prima volta nella storia della Repubblica italiana è stato dato l’assenso a una legge che, oltre a colpire le coppie etero che fanno ricorso alla gpa per avere un figlio, ha il palese intento di discriminare la comunità Lgbtqi+ e i suoi figli. Un provvedimento, quello approvato da un ramo del Parlamento, per rendere la Gpa reato universale, cioè potenzialmente perseguibile chi all’estero ricorre alla pratica della gestazione per altri anche se all’interno di quella nazione la prassi non è considerata reato. Oltre ai dubbi sull’incostituzionalità di una tale proposta di legge è il contesto in cui ha passato il vaglio della Camera ad essere inquietante. Mentre l’emergenza climatica ha messo in ginocchio alcune regioni del territorio italiano, ferendo la popolazione e chiedendo a tutti coloro che indossano una divisa dedizione e spirito di sacrificio per prestare il necessario soccorso a tutti, la priorità del Parlamento è stata pugnalare alle spalle i diritti civili e tutta la comunità Lgbtqi+ compreso chi per lavoro indossa una divisa. E’ una china che dobbiamo fermare. La legge sulla gpa ora dovrà essere passare al vaglio del Senato, faremo sentire la nostra voce. Tutte le forze positive della comunità devono unirsi per opporsi al becero tentativo di ridurci in silenzio e per una reale difesa della nostra Carta Costituzionale dei suoi valori democratici di inclusività e pluralismo.
Quanto successo a Chieti lo scorso 24 giugno, dove alcunə facinorosi hanno cercato ripetutamente di intimidire il corteo dell’Abruzzo Pride 2023, va condannato immediatamente da tutta la società civile, senza se e senza ma. Insulti, sputi e minacce da parte di un manipolo di ragazzə che se la sono presa soprattutto con le Famiglie Arcobaleno “ree” di rivendicare il proprio diritto di esistere. I tentativi di infiltrarsi all’interno del corteo sono stati fortunatamente respinti dalle forze di polizia in servizio a tutela dei manifestanti e del diritto di ciascun cittadinə di manifestare sancito dalla Costituzione. Rimane lo sconcerto per gli insulti, la violenza verbale e le minacce alle famiglie, in piazza con i figli piccoli, tanto che per evitare eventuali escalation o rischiare aggressioni fisiche, la polizia ha scortato alcunə di loro alle auto a fine manifestazione. Un brutto episodio, evidentemente, figlio del clima d’odio che alcune forze politiche cavalcano cercando di creare divisioni insanabili tra la popolazione invece di promuovere la convivenza civile e democratica. Polis Aperta, in quanto associazione di appartenenti a Forze di Polizia e Forze Armate, che hanno giurato di difendere la Carta Costituzionale e i suoi valori, sarà sempre al fianco di tutte le forze inclusive e pluralistiche della società che promuovono l’ordinamento democratico e la crescita della coscienza civile del Paese.
L’inquietante vicenda di Padova, dove la procura ha deciso si impugnare 33 atti di nascita di famiglie omogenitoriali cancellando di fatto il diritto di ogni bambino ad avere legalmente due genitori, non è solo una brutta pagina nella storia del nostro Paese, getta un’ombra sul futuro di tutta la società: perché si è scelto di individuare un nemico, stigmatizzando le famiglie che non corrispondono al paradigma eternormativo della società. Una scelta che ferisce gli adulti ma che punisce soprattutto i bambini, il futuro della nostra società. Ragazzə derubatə del diritto fondamentale alla famiglia da quello Stato che invece dovrebbe garantire “l’interesse superiore del minore. Invece assistiamo, ormai quotidianamente, a un clima sempre più discriminante nei confronti della comunità Lgbtqia+ utilizzata, assieme ai migranti e agli ultimi della società, come strumento di distrazione di massa dai veri problemi del Paese, dall’immobilismo legislativo alla difficoltà socioeconomiche dell’attuale momento storico.
La disgregazione del tessuto sociale, a cui assistiamo anche durante il servizio, spesso senza avere a disposizione strumenti legislativi per poter intervenire come lavoratorə in divisa, non è certo colpa di chi ha deciso costruire una famiglia o di chi partecipa ai Pride mostrando con orgoglio un corpo a volte riconquistato con fatica e strappato allo stigma, è un processo che va fermato ad ogni costo, mettendo in campo la coscienza civile di ciascuno di noi. In questo momento storico così buio auspichiamo perciò che tutta la comunità Lgbtqia+ sappia unirsi, al di là di ogni divergenza, per fare fronte comune e opporsi alla deriva oscurantista e alle tendenze inquisitorie che ci vorrebbero cancellati e sottomessi al paradigma patriarcale.
In occasione dell’annuale assemblea dei soci che si è tenuta a Reggio Emilia lo scorso 5 novembre 2022, Polis Aperta ha organizzato in collaborazione con Silp Cgil e Arcigay Gioconda, un convegno dal titolo “Discriminatə dentro e fuori le istituzioni. Aprire un dialogo per contrastare insieme i crimini d’odio”.
L’evento, che si svolto all’interno della sala Di Vittorio della camera del Lavoro reggiana, si poneva l’ambizioso obiettivo di aprire un dialogo con le parti sociali. Grazie alla partecipazione di tutte le istituzioni chiamate in causa si sono create nuove sinergie che permetteranno in futuro di mettere in campo azioni concrete, come corsi di formazione mirati agli agenti, per fornire strumenti adeguati al contrasto dei crimini d’odio anche per chi opera su strada.
Tutti gli interventi a partire dal quello di Emanuele Biondi, segretario provinciale di Silp Cgil e dell’assessore alla Sicurezza del Comune di Reggio Emilia, Nicola Tria, sono stati improntati alla massima collaborazione. Il confronto tra lo status quo della lotta alle discriminazioni in Italia e le azioni portate avanti nel resto della Comunità Europea è stato possibile grazie al contributo di Alain Parmentier di Egpa – European lgbt police association. La mattina è poi proseguita con gli interventi della consigliera comunale reggiana Marwa Mahmoud che ha illustrato il piano della città emiliana per combattere i crimini d’odio basati sul pregiudizio razziale. Particolarmente toccanti sono state, infine, le esperienze di vita vissuta riportate da un giovane appartenente al gruppo migranti Lgbtq+, introdotta da Alberto Nicolini, presidente Arcigay di Reggio Emilia sulle difficoltà di ottenere lo status di rifugiato e da Alessio Avellino, presidente di Polis Aperta e di agente di polizia transgender.
Nel pomeriggio l’assemblea ha discusso e approvato il bilancio e gli ordini del giorno dell’associazione. La giornata è stata un’occasione di festa dove sociə, appartenenti a diversi corpi di polizia e dell’esercito, hanno avuto l'occasione di reincontrarsi, di confrontarsi e mettere in campo nuove sinergie per contribuire a rendere l'Italia, una nazione più inclusiva al pari con le democrazie europee. La giornata reggiana di Polis Aperta si è poi conclusa a con la cena sociale a basi dei prodotti tipici del territorio.
Polis Aperta, appello al Ministero: “Lavoriamo insieme per aggiornare i bandi di concorso per la selezione del personale”
In merito alla polemica nata negli ultimi giorni sulla pubblicazione, da parte del Ministero dell’Interno di un bando di concorso per l’assunzione di oltre 1300 agenti di Polizia di Stato, dove “i disturbi dell’identità di genere” sono stati inseriti fra le malattie mentali incompatibili con il servizio degli aspiranti agenti, Polis Aperta, unica associazione italiana di persone Lgbtqi+ appartenentə a forze di polizia e forze armate, lancia un appello alle Istituzioni affinché queste definizioni anacronistiche vengano al più presto modificate. Occorre lavorare insieme, associazionismo e istituzioni, per adeguare la selezione del personale all’evoluzione della società e per abbattere la disinformazione e il pregiudizio sulle persone con identità di genere non allineata al proprio sesso biologico o gender non conforming. Le reclute, gli agenti del futuro, devono essere selezionati tenendo conto dell’evoluzione dei costumi e della nostra società, perché sarà con questa realtà che si dovranno confrontare i neopoliziotti quando opereranno, tutti i giorni, sulle strade italiane. Nel 2010, la Wpath, World Professional Association for Transgender Health, ha pubblicato il “De-psychopathologisation statement” nel quale ha chiarito che le identità di genere vanno ritenute varianze di genere, perciò le probabili espressioni di genere che ne derivano non devono ricevere attribuzioni negative o patologiche. In pratica non essere cisgender è solo la manifestazione dell’identità individuale di ciascuno non condizione patologica.
“La diagnosi di disforia di genere - spiega Alessio Avellino, agente di Polizia di Stato e presidente di Polis Aperta - non si ottiene semplicemente sottoponendosi ad una perizia medica, nessuno specialista potrebbe mai affermare che un soggetto deve intraprendere un percorso di transizione senza l’intenzionalità dichiarata da quest’ultim*: la percezione di sé, del proprio corpo e l’esperienza della mascolinità e della femminilità in termini di espressione di genere sono del tutto soggettive e insindacabili. In che modo questa autodeterminazione si colloca nell'ambito concorsuale? È chiara l’inadeguatezza scientifica dei regolamenti e la criticità di “disturbi dell’identità di genere attuali o pregressi” dal momento che la disforia di genere non è più un disturbo – secondo gli aggiornamenti dei manuali scientifici - e non può essere diagnosticata “coattamente” in nessuno soggetto al momento della verifica dell’idoneità, figurarsi nel “pregresso”. La presunta diagnostica sul passato solleva ulteriori dubbi: pregressi perché risolti o mai diagnosticati? Se ci si riferisce ad una condizione di “risoluzione del disturbo”, la domanda che sorge spontanea è in che modo? Alla luce di tutti i riferimenti scientifici che possediamo oggi, si può ancora alludere ad una “probabile risoluzione” di varianze legate alla propria identità senza rischiare una correlazione con inammissibili cure riparatorie? Se, invece, per pregresso si intende un percorso di transizione già avviato per allineare il proprio corpo alla percezione di sé, quindi nei fatti un livello di benessere psicologico già raggiunto, risulta inconsueta la mia presenza all’interno del Corpo. Di fatto la polizia è stata in grado di riconoscere operatori che hanno dichiarato – come me – di essere molto più del loro sesso biologico e ha lasciato loro la libertà di autodeterminarsi negli ambienti lavorativi, perché non aprirsi alla possibilità di aggiornare i regolamenti che favorirebbero la loro tutela e quella di chi semplicemente aspira ad indossare la divisa col proprio genere d’elezione?!”
Solo un dialogo aperto e costruttivo può garantire il progresso della società e la tutela dei diritti civili, in questo percorso Polis Aperta, associazione LGBTQI+ di lavoratorə di Forze di Polizia e Forze Armate, crede fermamente. Questa è l’unica direzione possibile verso un futuro che sia di tuttə.
In questi giorni dove la comunità LGBTQI+ celebra la ricchezza della diversità e la libertà di essere se stessi sempre e ovunque, due notizie di cronaca hanno gettato ombre oscure sul futuro dei diritti civili. L’inquietante sentenza della Corte suprema statunitense in merito all’aborto e il drammatico attentato di Oslo, hanno messo sotto scacco conquiste, ormai date come assodate. Due vicende geograficamente lontane che, tuttavia, hanno in comune la stessa matrice machista e patriarcale dove la fanno da padrone controllo dei corpi, soprattutto femminili, e il rifiuto delle molteplici identità che compongono il tessuto sociale.
Occorre dunque aprire un dialogo, fare fronte comune contro questa ondata d’intolleranza, per difendere ed estendere le conquiste democratiche.
L’esperienza di Bologna, l’abbraccio collettivo che abbiamo ricevuto durante il Pride, ci ha incoraggiato e ha portato anche al nostro interno una riflessione sull’importanza dell’apertura verso il mondo: divisi siamo minoranze, assieme siamo la società civile.
Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ di lavoratori di forze di polizia e forze armate esprime il proprio rammarico per le parole utilizzate dagli organizzatori del “Rivolta Pride” di Bologna che hanno voluto escludere l’associazione e i propri associati dalla sfilata di sabato 25 giugno. Ci è stato chiesto di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo. Non è la prima volta che una tale discriminazione viene in atto: al pride di Bologna 2020 la stessa sorte toccò dall'Associazione Plus - Persone LGBT+ Sieropositive.
Attraverso i social sono state scritte parole pesanti come pietre, che ancora prima di colpire l’associazione in sè, feriscono le persone che ne fanno parte. Persone, che pur avendo scelto un lavoro, dove non sempre la comunità Lgbtqi+ è stata accolta a braccia aperte, hanno deciso di metterci la faccia. Di uscire allo scoperto, sfidando ogni convenzione per abbattere diffidenza e pregiudizi. Fin dalla nascita, l’associazione si è impegnata per il riconoscimento dei diritti civili, dalla legge Cirinnà al ddl Zan, per il riconoscimento degli alias alle persone in transizione e dell’omogenitorialità. Perché siamo consapevoli che solo tutelando le moltepilci identità individuali della società si garantisce la difesa di quella democrazia che abbiamo deciso di rappresentare indossando una divisa.
Pride è l’orgoglio di aspirare a una società dove tuttə sono ugualə davanti alla legge. Le polemiche sterili non ci interessano, impieghiamo il nostro tempo per costruire ponti, non muri. Le pratiche escludenti non ci appartengono, così come non ci appartiene il dileggio, la discriminazione, il pregiudizio che trasuda da certi toni.
Questo odio non ci appartiene.

