Già tra la metà e la fine del diciannovesimo secolo ci furono i segnali della nascita e della crescita di comunità gay in Germania e nello stesso periodo la natura della sessualità umana diventò un’area di ricerca scientifica e di dibattito in Europa e negli Stati Uniti. Le condizioni politiche e sociali, nel primo ventennio del diciannovesimo secolo in Germania, consentivano alle persone di esprimersi pubblicamente a favore della depenalizzazione delle relazioni sessuali tra uomini e l’abrogazione del Paragrafo 175 e gli attivisti iniziarono a organizzarsi in gruppi che ne richiedevano la depenalizzazione. Oltre all’attivismo politico i gay iniziarono anche a socializzare nei bar e nei luoghi di ritrovo e questo consentì loro di creare dei legami e di formare le prime reti e comunità gay. Le comunità e i circuiti gay in Germania continuarono a crescere e a svilupparsi durante la Repubblica di Weimar (1918-1933), un periodo di tumulti politici e di sofferenza economica ma anche di libertà artistica e culturale. Come parte delle trasformazioni sociali e culturali del tempo molti tedeschi sfidarono pubblicamente le norme legate al sesso e particolarmente nelle grandi città. Nel 1897 fu fondato il Comitato Scientifico-Umanitario (Wissenschaftlich-humanitäres Komitee, WhK) e negli anni Venti la Lega dei Diritti Umani (Bund für Menschenrecht, BfM). Nel 1919 a Berlino il medico e ricercatore sessuale ebreo tedesco Magnus Hirschfeld fondò l’Istituto per la Scienza Sessuale (Institut für Sexualwissenschaft), che diventò famoso a livello internazionale. L’Istituto condusse studi scientifici pionieristici e fornì un’educazione pubblica sulla sessualità umana. Prima di salire al potere Hitler e molti altri leader nazisti condannarono la cultura di Weimar come decadente e degenerata: parte di quella condanna era dovuta al rifiuto della libera espressione della sessualità in quell’epoca, tra cui la visibilità delle comunità gay. Tuttavia, era noto che nel partito nazista ci fossero alcuni uomini gay, in particolare Ernst Röhm che era il leader delle SA (Sturmabteilung, chiamate comunemente Stormtroopers), un gruppo paramilitare nazista violento e radicale. I nazisti salirono al potere il 30 gennaio 1933 e provarono subito a eliminare le manifestazioni visibili e smantellare i circuiti gay che si erano sviluppati durante la Repubblica di Weimar e una delle prime azioni naziste contro le comunità gay fu la chiusura dei bar e dei luoghi di ritrovo gay nonché l’eliminazione di giornali, riviste e case editrici gay. Nel maggio del 1933 i nazisti vandalizzarono l’Istituto per le Scienze Sessuali di Hirschfeld e lo obbligarono a chiuderlo. Parte di quell’azione incluse la distruzione degli scritti di Hirschfeld che furono dati alle fiamme dai nazisti e la distruzione dell’Istituto fu un chiaro segno che i nazisti non avrebbero tollerato le politiche sessuali riformiste promosse dall’Istituto. A partire dalla fine del 1933 e l’inizio del 1934, i nazisti usarono nuove leggi e pratiche di polizia per arrestare e detenere senza processo un certo numero di uomini gay. Gli studiosi stimano che durante il regime nazista circa 100.000 persone furono arrestate ai sensi del Paragrafo 175. Tra 5.000 e 15.000 uomini furono imprigionati nei campi di concentramento come criminali “omosessuali”. Questo gruppo di prigionieri doveva indossare un triangolo rosa sulle divise del campo come parte del sistema di classificazione dei prigionieri. Secondo i racconti di molti sopravvissuti i prigionieri identificati dal triangolo rosa erano tra i gruppi più abusati nei campi. A volte gli venivano assegnati i lavori più estenuanti e faticosi nel sistema del campo di lavoro, spesso erano oggetto di abusi fisici e sessuali da parte delle guardie del campo e degli altri prigionieri e in alcuni casi venivano picchiati e umiliati pubblicamente. Nel campo di concentramento di Buchenwald alcuni prigionieri identificati dal triangolo rosa furono oggetto di esperimenti medici disumani. Gli altri internati evitavano i prigionieri identificati dal triangolo rosa i quali si trovavano così isolati e impotenti nella gerarchia dei prigionieri: la situazione di isolamento di questi prigionieri rendeva la loro sopravvivenza molto più difficile e nei campi di concentramento morì un numero sconosciuto di prigionieri identificati dal triangolo rosa. La fine della guerra e la sconfitta del regime nazista non comportarono necessariamente un senso di liberazione per gli uomini gay che rimasero emarginati nella società tedesca. Decine di migliaia di persone furono condannate alla prigione anche nel dopoguerra a causa del Paragrafo 175. Per questo per gran parte del ventesimo secolo fu difficile conoscere le storie di questi condannati durante l’epoca nazista a causa dell’applicazione da parte della Germania del Paragrafo 175. Tuttavia, gli studiosi hanno cercato di documentare le esperienze vissute da queste persone servendosi dei registri di polizia e dei documenti dei tribunali e dei campi di concentramento. Negli anni Novanta il governo tedesco riconobbe gli “omosessuali perseguitati” (“verfolgten Homosexuellen”) come vittime del regime nazista e nel 2002 - per la prima volta - gli uomini gay che avevano sofferto a causa dei nazisti poterono richiedere un risarcimento monetario al governo tedesco per le ingiustizie commesse nei loro confronti. Nel maggio del 2008 fu inaugurato il Memoriale per gli Omosessuali assassinati dal nazismo (Denkmal für die im Nationalsozialismus verfolgten Homosexuellen) vicino al parco di Tiergarten nel centro di Berlino.
COSA ACCADDE IN ITALIA? Li chiamavano femminielli, arrusi, pederasti... Con questi nomignoli ironici e sprezzanti la società fascista mostrava la sua ostilità nei confronti dei gay arrivando a relegarli in fazzoletti di terra il più lontano possibile dalla civiltà. Lo conferma la storia delle decine di omosessuali mandati da Mussolini al confino in mezzo all'Adriatico, a Lampedusa e a Ustica. Il regime eliminò il reato di omosessualità dal progetto del Codice penale Rocco poiché nella nuova Italia fascista non era ammesso nemmeno immaginare un simile reato. Venne conservata la misura del confino a scopo preventivo, perché non "sporcassero" l'immagine del Paese. Tra il 1936 e il 1940 circa, 300 gay furono condannati come "pericolosi per la sicurezza pubblica". Nel 1939 una sessantina di confinati finì a San Domino, la più grande delle isole Tremiti, sulla quale i fascisti costruirono alcuni casermoni in cemento per ospitare i confinati, senza elettricità né acqua corrente. Dei circa sessanta gay arrivati a San Domino ben quarantacinque provenivano da Catania, tutti arrestati e condannati agli inizi del 1939, durante una "caccia alle streghe" scatenata dall'allora questore della città siciliana, Alfonso Molina. I confinati vennero portati sull'isola in catene ma poi furono lasciati liberi di muoversi seppur sorvegliati dalle guardie che arrivavano a turno dalla vicina San Nicola. Nel giugno del 1940 la struttura venne riconvertita, a causa dell'entrata in guerra da parte dell'Italia, in campo di internamento per stranieri, gli omosessuali rientrarono nelle loro città con il solo obbligo di firma in questura ogni sera.
BIBLIOGRAFIA: Giartosio T., Goretti G., La città e l'isola. Omosessuali al confino nell'Italia fascista, Donzelli Ed., Roma, 2006 - Pedote P., L’isola dei papaveri, Area 51, 2013 - Scovino C., Fredy Hirsch un educatore ad Auschwitz. Una storia dimenticata: l’Omocausto, La Meridiana, Molfetta (BA), 2023

