La Casa Arcobaleno di Reggio Emilia, intitolata a Pier Vittorio Tondelli scrittore reggiano icona del movimento, ha aperto i battenti il 20 novembre del 2022 in occasione del TdoR, transgender day of remembrance, da allora, in poco meno di due anni, ben dodici persone hanno chiesto aiuto alla residenza reggiana per sfuggire a contesti familiari con situazioni critiche, a volte apertamente ostili o violente. Ragazzi e ragazze discriminati cacciati di casa o minacciati per il loro orientamento sessuale o per un’identità di genere non conforme. La residenza voluta da un progetto di Arcigay Gioconda di Reggio Emilia è un’unità abitativa messa a disposizione dal Comune e Acer in grado di ospitare fino a quattro persone, è interamente finanziata grazie alle donazioni e gestita da volontari che, per aiutare chi sfugge da famiglie o situazioni gravemente respingenti, lavorano ogni giorno a stretto contatto con le istituzioni e le forze di polizia. Nel novembre del 2022, durante l’assemblea autunnale di Polis Aperta svoltasi appunto a Reggio Emilia, l’associazione fece una donazione a favore del progetto e nell’occasione diversi soci contribuirono di tasca propria alla nascita di questo prezioso posto sicuro. Oltre a tracciare un primo bilancio dell’attività della casa abbiamo aperto una discussione con Albero Nicolini, coordinatore casa arcobaleno e responsabile dell’Area sociale Arcigay Reggio Emilia, per comprendere quali sinergie è possibile mettere in campo, in quanto agenti di polizia, per accompagnare chi si trova ad affrontare un momento tanto terribile a causa della propria identità di genere o dell’orientamento sessuale e affettivo.
Nicolini, dopo due anni di attività di Casa Arcobaleno, è possibile tracciare un primo bilancio?
Uno degli aspetti positivi e che siamo ancora aperti, non potendo contare su fondi pubblici non era così scontato, l’accoglienza si regge solo sulle donazioni e sulla sensibilità della comunità, che devo dire continua a sostenere generosamente il progetto con sempre maggiore convinzione, il che è un riconoscimento alla nostra serietà. Oltre al mantenimento degli utenti, che spesso non possono contare su una situazione lavorativa stabile, ci sono le utenze e le spese vive, come spese sanitarie, percorsi psicologici, acquisti di libri scolastici. L’unità abitativa è stata messo a disposizione, in comodato d’uso gratuito, dal Comune di Reggio Emilia e Acer e già non dover pagare un affitto è un grande aiuto.
Quante persone avete accolto in questi due anni di attività?
Abbiamo tolto dalla strada una dozzina di persone. Ovviamente maggiorenni ma tutte molte giovani una fascia d’età compresa tra i 18 e i 30 anche se la maggior parte era under 25. Attualmente ospitiamo quattro persone tra 19 e i 24 anni, alcuni hanno identità in transizione mentre altri sono di origine straniera. Oltre alla casa, solo nel 2023, abbiamo sostenuto altre 33 persone nell'acquisto di farmaci, vestiti, spese mediche e derrate alimentari, per lo più si tratta di persone LGBTQI+ che fanno parte del nostro gruppo migranti.
Chi si rivolge a voi che tipo di aiuto chiede?
Nei casi più fortunati si tratta di un’ospitalità breve, una sorta di ritirata strategica di qualche settimana in modo che la persona possa rinegoziare un equilibrio familiare. Tuttavia, nella maggior parte dei casi si tratta di ospitalità più lunghe, persone che si sono dovute allontanare da casa a causa di un rifiuto familiare, culturale che sfocia in situazioni estremamente ostili a in alcuni casi violente.
Come ricevete le richieste di ospitalità?
Ci sono diverse vie attraverso le quali entriamo in contatto con le persone in difficoltà: i servizi sociali o le Unità di strada che essendo a contatto con realtà marginali intercettano immediatamente queste situazioni di fragilità. La richiesta di ospitalità deve però sempre venire dalla persona stessa, maggiorenne che accetta liberamente le regole di convivenza della casa.
Le vittime dell’odio e dell’ignoranza, spesso giovanissimi traditi e marginalizzati dagli affetti famigliari, finiscono spesso in situazioni limite, come si può creare una sinergia positiva con le forze di polizia per individuare velocemente queste situazioni?
Con le forze di polizia si collabora attivamente. L’attuale situazione legislativa nazionale, tuttavia, non riconosce i crimini d’odio commessi nei confronti della comunità lgbtqia+ tutto ciò influisce su chi subisce un reato e facendo percepire una sorta di inutilità della denuncia. Inoltre, esiste una diffidenza delle vittime dettata dalla paura di trovarsi in un ambiente giudicante. A Reggio Emilia l’azione di mediazione dell’associazione che fa da ponte tra le vittime e gli agenti sempre stata accolta in modo positivo e con grande sensibilità. Per attivare una maggiore protezione dalle discriminazioni e crimini d’odio occorrerebbe un numero di telefono nazionale gestito da forze di polizia con personale formato in grado di ascoltare e dare indicazioni alle vittime su come muoversi. Sarebbe un grosso passo avanti anche per migliorare i rapporti di fiducia con il mondo delle Forze dell'Ordine. Inoltre, in generale in Italia su questi temi occorre una maggiore formazione di tutti gli operatori in divisa, conoscere aiuta a comprendere.
Il futuro di Casa Arcobaleno?
Abbiamo cominciato con una casa con 4 posti ma inserendo solo due ospiti all'inizio, il sogno sarebbe avere la disponibilità di fondi strutturali, possibilmente nazionali, per raddoppiare i posti letto, offrendo alle persone in situazioni di estrema fragilità non solo un posto sicuro ma una équipe professionale in modo da rispondere a bisogni più complessi che non solamente il tetto sulla testa.
In Italia le case arcobaleno, nate con l’intento di dare una dimora temporanea a chi è vittima di discriminazioni per il proprio orientamento sessuale o identità di genere, sono una decina. A Reggio Emilia, come su altri territori, si tratta di strutture che sopravvivono unicamente grazie alle donazioni. Chi volesse contribuire a Casa, potrà farlo tramite donazione direttamente dal sito https://arcigayreggioemilia.it/sostienici/ oppure su conto corrente intestato a “Comitato Provinciale Arcigay Gioconda”, Iban IT62T0850912801028010020324, causale Donazione Casa Arcobaleno Pier Vittorio Tondelli. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito www.arcigayreggioemilia.it
Lettera aperta a Davide Bastoni, presidente di Arcigay Lambda e al Comitato del Piacenza Pride 2025
Gentilissimo, cogliamo volentieri la spinta alla riflessione e al dibattito che, come Polis Aperta, abbiamo letto nell’invito rivolto a forze armate e forze di polizia per “marciare al fianco delle comunità Lgbtqia+”. Innanzitutto vorremmo sottolineare che noi non marciamo al fianco della comunità ma siamo, da sempre, parte della comunità Lgbtqia+. Lo siamo nella stessa percentuale in cui lo sono il resto delle categorie professionali di lavoratrici e lavoratori all’interno della società italiana. Certo ci rendiamo conto della particolare delicatezza del lavoro che ogni giorno svolgiamo e della storia, che, anche recentemente, ha portato la nostra comunità a erigere muri di diffidenza nei confronti di chi porta una divisa, tuttavia, arrenderci allo status quo non è nel nostro dna. L’associazione Polis Aperta è nata proprio per la doppia esigenza di non abbandonare alla solitudine “da caserma” le colleghe e i colleghi della comunità e per costruire ponti fra la comunità stessa e le forze di polizia in modo da poter combattere con strategie efficaci i crimini d’odio. Perché la diffidenza nei confronti di chi indossa una divisa induce le vittime al silenzio e il silenzio permette a criminali e malintenzionati di prosperare. E questa non è la società che vogliamo. Ci corre, tuttavia, il dovere di puntualizzare che attualmente in Italia, per legge, nessun appartenente a corpi militari o di polizia può sfilare all’interno di una manifestazione non istituzionale utilizzando la divisa d’ordinanza. Detto ciò, compatibilmente a quanto deciderà il nuovo direttivo che sarà nominato in autunno, l’associazione sarà lieta di prendere parte al Piacenza pride del 2025 con i nostri corpi e i simboli dell’associazione per lottare, come già facciamo in altri Pride, per lo spirito di giustizia che anima chi porta una divisa e per costruire un mondo sempre più vicino a quello descritto dall’Articolo 3 della Nostra Costituzione: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Una rete nazionale di professionisti a disposizione di chi opera in situazioni di emergenza, per offrire un contributo a chi è chiamato ad affrontare lo stress e il disagio
Polizia e Democrazia n. 188 Ottobre 2018
Oltre 50 agenti di Bologna al corso sui temi Lgbtqia+ per il contrasto ai crimini d'odio e per formare personale qualificato al pari degli standard europei
Polizia e Democrazia n. 226 - Ottobre - Novembre 2023
Le pagine dedicate al "pianeta Lgbtqia+" sono probabilmente le più discusse di tutti il libero del generale Vannacci. Ne abbiamo parlato con Alessio Avellino, poliziotto transgender e presidente dell'associazione Polis Aperta
Polizia e Democrazia n. 225 - Settembre 2023
Donne che amano donne. Uomini che amano uomini. In divisa è ancora difficile dirsi omosessuali. Molti pensano sia meglio tacere ma qualcuno ha cominciato a raccontare la propria storia...
Polizia e Democrazia n. 158 - Settembre - Ottobre 2013
Simonetta Moro, agente di Polizia Municipale di Bologna, racconta come si è evoluto il lavoro di Polis Aperta, associazione nata per ascoltare e tutelare gay e lesbiche appartenenti alle Forze di Polizia e militari. Quello che resta da fare è ancora molto ma il clima culturale e lavorativo registra positivi segnali di apertura.
Polizia e Democrazia n. 147 - Gennaio - Febbraio 2012
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Intervista. L'agente di Polizia municipale di Milano Fabrizio Caiazza parla delle reazioni, per lo più positive, riscontrate dopo la sua esposizione mediatica. E del suo incontro con i colleghi americani.
Fonte: Polizia e Democrazia n.124
Data pubblicazione: dicembre 2008
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Il 23 settembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Orgoglio Bisessuale e questa data è stata scelta dall’International Lesbian and Gay Association. La creazione del “Bisexual Forum” a New York nel 1975 segnò un momento di aggregazione cruciale, un primo spazio in cui le persone bisessuali poterono confrontarsi e articolare una narrativa propria. Tuttavia, questa emergenza identitaria si scontrava con una resistenza tanto esterna quanto interna: se da un lato la società eteronormativa continuava a considerare la bisessualità con sospetto o disprezzo, dall’altro anche dentro il movimento Lgbtqia+ non mancarono voci critiche, che la percepivano come ambigua o, peggio, come una forma di codardia politica, lontana dall’assoluta presa di posizione rappresentata dall’omosessualità. Atteggiamento che purtroppo, persiste ancora oggi. Durante la Conferenza sulla Bisessualità di San Francisco del 1990, venne coniato il termine bifobia, un concetto destinato a cristallizzare le dinamiche di marginalizzazione specifiche a cui erano sottoposte le persone bisessuali, spesso in bilico tra due mondi che le negano o le consideravano come una minaccia all’ordine binario. Questa nuova consapevolezza diede avvio a un percorso di autoaffermazione che portò, nel 1999, alla nascita del Celebrate Bisexuality Day, ricorrenza annuale fissata al 23 settembre, giorno in cui si sarebbe cominciato a rendere omaggio alle persone bisessuali, alla loro storia e al loro contributo nella lotta per i diritti civili. La bandiera bisessuale risale invece al 1998 ed è stata realizzata da Michael Page. La bandiera è composta da tre righe di differenti colori: in alto il rosa, in basso il blu, al centro il viola, creato dall’unione degli altri due colori. Per Page il rosa simboleggia l’orientamento omosessuale, il blu rappresenta l’orientamento eterosessuale e il viola, infine, è la fusione tra rosa e viola e dunque tra i due orientamenti sessuali. La bisessualità è stata osservata nel corso di tutta la storia umana e nel susseguirsi delle varie civiltà, assumendo valenze e significati differenti in base alle specifiche culture e alle epoche storiche. Nella cultura greca antica le relazioni sessuali non erano incasellate in rapporti monogami o strettamente eterosessuali. Gli uomini potevano aver contratto matrimonio con una donna e allo stesso tempo avere relazioni extraconiugali con altre donne così come con uomini. Anche nella cultura romana le relazioni sessuali non erano codificate solo come etrerosessuali o omosesessuali, era solo una questione di potere ovvero, un uomo libero era sicuramene sposato, dato che il valore della famiglia era sacro, ma poteva avere rapporti sessuali o intrattenere relazioni sia con uomini o con donne a patto che questi fossero schiavi o prostitute. Era socialmente inaccettabile e punito chi avesse rapporti sessuali con un altro uomo libero. In questo caso la bisessualità era sì accettata ma solo se si assumeva un ruolo “attivo” e questo era visto come una manifestazione di potere. Il primo a parlare di un continuum, o di fluidità, in ambito sessuale fu Alfred Kinsey, biologo e sessuologo statunitense, che condusse innumerevoli studi volti ad indagare il comportamento sessuale umano, pubblicati tra il 1948 ed il 1953 in due volumi denominati popolarmente Rapporti Kinsey. Vivere il proprio orientamento sessuale in modo libero e consapevole è una possibilità che purtroppo non può ancora essere data per scontata. Esistono infatti varie forme di discriminazione ai danni di individui bisessuali, compresa la negazione stessa dell’esistenza della bisessualità. Oggi il concetto di bisessualità si colloca al centro di riflessioni più ampie sulle dinamiche di potere, visibilità e riconoscimento, rendendola una parte vitale del discorso contemporaneo sulla sessualità e sull’identità: stiamo parlando di un orientamento sessuale caratterizzato dall’attrazione, sia romantica che sessuale, verso più di un genere ma non tutti – quest’ultima è la differenza cardine con la pansessualità. A differenza delle definizioni più rigide che si sono sviluppate nel corso del tempo, la bisessualità non implica necessariamente un’attrazione uguale verso i generi, ma piuttosto una flessibilità nell’esperienza affettiva e sessuale. Dove esiste un orientamento sessuale non conforme, purtroppo, esiste però anche la tendenza a stigmatizzare. In questo caso, parliamo di bifobia, insidiosa forma di discriminazione frutto di stereotipi e pregiudizi tanto radicati quanto sottili. La bifobia opera in modo più ambiguo rispetto ad altre attitudini simili, cercando di erodere la legittimità stessa. Si manifesta spesso con l’incredulità, la svalutazione o, ancor peggio, con l’invisibilizzazione, come se l’attrazione per più generi non fosse altro che un errore di percorso o una fase di passaggio tra l’eterosessualità e l’omosessualità. Sostenuta da un substrato di sospetti e accuse implicite, la bifobia vede le persone bisessuali come ambigu*, indécis*, addirittura incapaci di vera fedeltà emotiva o sessuale. L’attrazione viene ridotta a una sorta di pulsione primordiale, a un’incapacità di contenere desideri multipli, quasi fossero per natura inclini alla promiscuità. Questa visione tanto radicata quanto perversa presuppone che la bisessualità sia sinonimo di disordine e di una frattura nell’ordinata binarietà dei desideri. Contrastare la bifobia, in questo senso, significa decostruire le sovrastrutture concettuali che riducono il desiderio a rigide categorie. Significa restituire visibilità e dignità a una parte della comunità Lgbtqia che troppo spesso è stata lasciata ai margini, fraintesa o, peggio, ridotta a un’invenzione temporanea, per cogliere la meravigliosa essenza di una sessualità che non ha bisogno di conformarsi per esistere.
Carlo Scovino e Marcello Libriani
Fonte: Polizia e Democrazia n.123
Data pubblicazione: ottobre/novembre 2008
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